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Musulmani d’Italia, evoluzioni e sfide

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Di Brahim Baya  

La prima generazione di musulmani arrivata in Italia, in cerca di condizioni economiche più favorevoli o in fuga da regimi oppressivi, era in gran parte modesta sul piano sociale e culturale il suo atteggiamento naturale fu quello di considerare l’Italia terra straniera in cui bisognava vivere da stranieri, in attesa di un ritorno in patria che non è mai arrivato, poiché, nel frattempo, i figli sono nati e cresciuti in questo paese, e la meta del ritorno si è allontanata.

Oggi sempre più musulmani, hanno preso atto di questa situazione, non si pongono più alcun problema nel prendere la cittadinanza italiana, poiché in Italia si sentono a casa loro e desiderano costruirvi il loro futuro e quello dei loro figli, la loro prima lingua è l’italiano e condividono la stragrande maggioranza degli aspetti della cultura italiana. Essi percepiscono la loro presenza come una ricchezza, non hanno problemi a presentarsi come cittadini che partecipano alla vita sociale, politica e culturale del loro paese, e impegnarsi anche al di fuori della loro comunità, in associazioni di volontariato, strutture sindacali e partiti politici.

A livello locale le comunità musulmane hanno stabilito ponti di congiunzione con la cittadinanza e con le amministrazioni locali, e le loro attività sul campo sono sempre più aperte alla società.

Molti musulmani oggi, quindi, vanno al di là del “consumato” discorso sull’integrazione, sviluppano un senso di appartenenza a questa società, e affrontano con mente più aperta i problemi della collettività, anche se non riguardano in maniera specifica la loro comunità. Le questioni sociali, la scuola pubblica, la disoccupazione, la criminalità, le relazioni internazionali, sono temi che gli coinvolgono come tutti gli altri loro concittadini. Per ora è soltanto una minoranza di musulmani che si cimenta in questo campo, ma il processo è avviato, è un processo evolutivo che si compie nel tempo lungo. Si parla sempre più di musulmani italiani e meno di musulmani in Italia, anche se saranno sempre percepiti come immigrati, d’ora in avanti la questione dell’islam sarà distinta da quella dell’immigrazione, l’islam è, e lo sarà sempre di più, una faccenda tutta italiana.

Nel campo dell’islam organizzato si assiste ad un processo di istituzionalizzazione a più livelli della presenza musulmana. Essa ha preso il via, com’è naturale, con l’apertura di centri islamici, poi sono nate organizzazioni più o meno specifiche: associazioni di giovani, donne, per l’infanzia, culturali, educative e artistiche.

Tuttavia le evoluzioni nell’islam organizzato italiano non sono sufficienti ed è necessario subito intavolare un dialogo intra religioso tra le diverse componenti della comunità musulmana italiana, la posta in gioco è importante e le sfide troppo grandi per continuare ad ignorarsi o a criticarsi. Non si tratta di essere d’accordo su tutto, non si tratta di fondare un’unica organizzazione nazionale, né di ignorare le rispettive storie e strutture: si tratta di rispettarsi nella differenza e nella diversità e di trovare puntualmente orientamenti e impegni comuni.

Le istituzioni pubbliche dovrebbero, nel rispetto dei principi di laicità dello Stato e di separazione degli ambiti (stato-religione), facilitare le evoluzioni interne alla comunità e pensare a strategie di accompagnamento per accelerare e favorire questi processi. In primo luogo le istituzioni dovrebbero rimuovere quegli ostacoli, giuridici e politici, che ancora oggi limitano la piena fruizione dei diritti di libertà religiosa garantiti dalla Costituzione italiana, in particolar modo per i musulmani, che si vedono sistematicamente negato il diritto di aprire o costruire luoghi di culto, basti pensare che il settore del culto in Italia è ancora disciplinato dalla normativa sui “culti ammessi” risalente all’epoca fascista, rimettere in cantiere l’intesa con la confessione islamica, seconda del paese, arenata da anni sarebbe un gesto concreto verso una maggiore fedeltà allo spirito costituzionale.

 

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